Dopo due mesi abbondanti di quarantena è iniziata la Fase 2, finalmente possiamo strappare le autocertificazioni ed uscire senza doverci giustificare! Le terapie intensive si svuotano e i contagi calano, così tutto sta pian piano tornando alla normalità: riaprono negozi, parrucchieri, bar e ristoranti, si possono vedere gli amici – seppur mantenendo le distanze e tenendo la mascherina, si può fare sport all’aperto. A breve arriverà anche la riapertura di cinema e palestre, si comincia ad organizzare lo spazio in spiaggia e gli albergatori si attrezzano per adeguarsi alle nuove regole per l’accoglienza dei turisti. Tutto si sta rimettendo in moto tranne un piccolissimo, trascurabile, ambito: la scuola.
Noi e gli altri
Mentre negli altri Paesi hanno adottato varie soluzioni per consentire a bambini e ragazzi di tornare a fare scuola dal vivo, in Italia pare non sia assolutamente possibile. Tutto riparte con le dovute precauzioni e con le regole necessarie ma le scuole no, sono troppo pericolose. Il motivo sarebbe che ci sono molti insegnanti anziani – solo a scuola, negli altri settori tutti i lavoratori sono giovani? E come si fa a far lavare bene le mani ai bambini e tenerli a distanza? Le classi sono piccole, loro sono tanti, troppo difficile cercare un’alternativa che garantisca loro il diritto all’istruzione, alla relazione, alla socialità.
Scuola a distanza
Certo, c’è la DAD, la didattica a distanza. In questi mesi dalla primaria in su abbiamo sperimentato forme, colori e suoni di varie piattaforme. I ragazzi hanno imparato tutti i segreti di Classroom, sono diventati cintura nera di Weschool, hanno imparato a fare conferenze su Zoom, organizzare Meet, archiviare su Drive. Qualche audace si sta perfino lanciando a creare il suo primo sito con Google Sites con la scusa della tesina di terza media. Gli insegnanti hanno sperimentato nuove frontiere e si sono adattati a questa emergenza cercando di non lasciare soli i loro alunni. Noi genitori siamo stati accanto ai nostri figli per guidarli, spronarli, aiutarli.

Questa avventura ha portato sicuramente dei benefici e degli aspetti positivi – primo fra tutti la responsabilizzazione fra i più grandi e l’apprendimento di nuovi strumenti che comunque saranno utili nella vita – ma uno schermo non può sostituire la scuola, quella vissuta di persona. Insegnare, imparare, educare è molto molto molto di più.
Cosa dire poi dei più piccini, che più di tutti hanno bisogno del contatto fisico? E dei bimbi più fragili, con bisogni speciali o disabilità? Come ignorare che non tutti hanno avuto la possibilità di accedere alle lezioni on line? Tra gli 8 milioni di studenti in Italia ci sono stati i più fortunati, che hanno avuto a disposizione mezzi e supporto adeguati e si sono adattati bene alla situazione, e c’è stato chi invece ha pagato l’assenza della scuola in termini di isolamento assoluto o disagio psicologico. A molti di loro l’istruzione è stata negata. A tutti però, indistintamente, sta mancando un pezzo di vita da tanto, troppo tempo.
I dimenticati
Seguendo le dirette che annunciavano ogni decreto e leggendo vari articoli di giornale ciò che più mi ha fatto male è stata l’assenza di riguardo nei confronti dei piccoli da parte delle istituzioni. Non basta decidere le modalità della maturità e delle valutazioni, non basta ingaggiare una task force che prima o poi – si spera – partorirà una soluzione per la ripresa a settembre. Anche i bambini e i ragazzi sono persone e sono il nostro futuro. Non sono solo il futuro dei loro genitori, sono il futuro della società e una società che ignora i loro diritti non può arrivare lontano.
Non ci credo più alla storia della protezione: non è più vero, oggi, che le scuole stanno chiuse per proteggerli e per proteggerci. Se i bambini non possono andare a scuola mentre il resto del mondo riparte, che senso ha? Tutti quanti hanno genitori che possono fare smartworking, o che possono non lavorare per stare con loro? E se anche fosse, sarebbe giusto? Li lasceremo nuovamente ai nonni, che sono la categoria più fragile e in pericolo di questa pandemia? E chi non può contare sui nonni o non volesse metterli a rischio, risolve tutto con il bonus babysitter?
Preferisco pensare che chi non ha voluto trovare una soluzione forse ha paura della scuola.
Gestire il rischio consapevolmente
I più giovani sono stati i più forti in tutto questo marasma: si sono adattati, hanno capito, hanno reagito. Insegnanti e dirigenti sono sopravvissuti ad una mancanza oggettiva di coordinamento dall’alto, cercando di sopperire come meglio hanno potuto. I genitori hanno sopportato e supportato in ogni modo i loro figli, ma ora vogliono per loro delle risposte. Tenerli in casa in eterno non è una soluzione. Aspettare senza fare nulla, nemmeno.
È cambiato il modo di prendere l’autobus, di stare in fila al supermercato, di lavorare, di imparare. Il coronavirus ha ribaltato il nostro mondo ed è ingenuo pensare che tutto sarà esattamente come prima e che potremo tornare al punto di partenza a rischio zero. Dobbiamo fare di tutto per ridurre questo rischio, certamente, ma nel frattempo dobbiamo cercare alternative ed inventare nuove strade per tornare a vivere, anche a scuola.

Occorre la consapevolezza che il rischio zero non esiste. Questo rischio tuttavia per i bambini è assolutamente trascurabile, mentre per tutti può essere molto ridotto investendo sulla scuola in questi mesi. Abbiamo bisogno, anche per sostenere l’economia, di una scuola e di una sanità migliori e che non si fermino. Non di una società iperassistita, paurosa e sempre servilmente in attesa di favori da parte del potere.
Luciano Butti
Cambiare senza paura
Ci saranno classi divise? Faranno turni con diverse attività? Ingressi e uscite scaglionati? Banchi distanziati e mascherine? Nuove classi più grandi o aule provvisorie in altri edifici? Ci saranno più insegnanti? Didattica mista in presenza e a distanza? Ci saranno, ci devono essere, delle soluzioni che tengano conto di tutte le fasce d’età e delle diverse esigenze. Ci sarà un cambiamento che ci farà ripartire anche a scuola. Senza paura.
Dobbiamo fare questa scelta di coraggiosa, consapevole e “preparata” normalità basandoci sulla nostra arma migliore: l’ottimismo sereno e razionale che deriva dalla nostra straordinaria capacità di generare ed applicare conoscenza.
Guido Silvestri
[Per approfondire, qualche articolo interessante che racconta cosa bolle in pentola. Speriamo ne esca qualcosa di buono, magari entro l’anno]
Studio del Politecnico di Milano con un modello per riaprire le scuole
Lezioni di 45 minuti e più insegnanti
La riapertura della scuola in Europa
Navigare tra lo scoglio “virus” e lo scoglio “conseguenze del lockdown” per tornare a vivere
D’accordissimo con quello che dici. Aggiungerei un altro aspetto. Adesso che si può uscire di casa il paese in cui vivo a una certa ora si riempie di ragazzini dai 10 anni in su che, non avendo lezioni e pochi compiti, passano il tempo andando in bici o giocando a palla ai giardinetti. Piuttosto che stare a casa da soli (i genitori sono al lavoro) si incontrano per strada, in barba alle regole sulla distanza e sulle mascherine. A questo punto mi chiedo, ma non era meglio mandarli a scuola che almeno stavano in un luogo protetto?
Era meglio, eccome! È mancata la volontà di trovare una soluzione: tra riaprire esattamente come prima e tenere a casa sei mesi 8 milioni di studenti – sostanzialmente lasciando ai genitori il compito di arrangiarsi – ci sarebbero state infinite possibilità. Vedremo per settembre cosa succederà… io mi auguro che lavorino sodo ora ed usino bene il tempo che rimane.